Darwin sul pianeta delle scimmie

Il razzismo è un’assurdità biologica, che però ha generato orrori enormi. Tutti incubati in casa Darwin, anche se pochi lo vogliono ricordare

Una definizione generale di razzismo, su cui possano convenire tutti, è la concezione secondo cui l’umanità sarebbe divisa in razze, alcune delle quali superiori e per questo destinate a dominarne altre, inferiori.

A fare la differenza sarebbe il patrimonio genetico che determinerebbe una presunta diversità di comportamenti individuali, sociali, culturali ed economici. Il condizionale è d’obbligo perché è ovvio che le cose non stiano affatto così. Infatti, ripercorrendo la storia, è osservabile come il razzismo sia sempre stato un fenomeno sociale (con buona pace della genetica) presente fin da quando l’umanità ha praticato la schiavitù.

Greci prima e Romani dopo chiamavano «barbari» coloro che non ne parlavano la lingua, e gli Ebrei chiamavano «gentili« (o «quelli delle nazioni») chi non adorava lo stesso loro dio.

Qui non si dovrebbe però commettere l’errore di concludere che il razzismo tragga le sue origini direttamente dalla religione. Anzi è vero il contrario: nella concezione ebraico-cristiana, Dio crea la specie umana da un solo uomo e san Paolo, quindici secoli dopo, nel celebre discorso all’Aeropago di Atene (cfr. Atti 17, 26) ricorda che Dio «da un solo uomo ha fatto ogni nazione degli uomini perché vivano sull’intera superficie della terra».

A metà del secolo XIX, Joseph Arthur de Gobineau (1816-1882), filosofo e diplomatico francese, considerato l’ispiratore del razzismo in Europa, pubblicava il Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane (1853-1854) sostenendo che ciascuna razza umana possiederebbe per natura determinate caratteristiche morali e psicologiche tali da giustificare la superiorità della razza bianca su quella gialla e nera.

È in questo contesto storico e filosofico che il naturalista britannico Charles Darwin (1809-1882) pubblica prima L’origine delle specie nel 1859 e poi, nel 1871, L’origine dell’uomo e la scelta in rapporto col sesso con cui intende dimostrare che per la specie umana varrebbero le stesse leggi dell’evoluzione per selezione naturale che presiederebbero allo sviluppo di tutte le altre specie animali.

Tutti, evoluzionisti e antievoluzionisti, dovrebbero leggere questo libro di Darwin per convincersi di quanto le affermazioni in esso contenute siano intrise di pregiudizi culturali e psicologici, oltre che di ignoranza. Davanti ad alcune affermazioni lo stesso Adolf Hitler (1889-1945) appare soltanto un sognatore innocente ed ingenuo. Scrive infatti Darwin, come a sottolineare il proprio rammarico: «Noi uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di eliminazione; costruiamo asili per pazzi, storpi e malati […] I nostri medici esercitano al massimo la loro abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento.[…] Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere. Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli animali domestici dubiterà che questo possa essere altamente pericoloso per la razza umana. […] Dobbiamo quindi sopportare l’effetto, indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino il loro genere, ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante, impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i sani» (1).

Ancora Darwin ammette candidamente uno dei suoi propositi nello scrivere L’origine dell’uomo, ovvero quello «[…] di dimostrare soltanto che non v’ha differenza fondamentale fra l’uomo ed i mammiferi più elevati per ciò che riguarda le loro facoltà mentali» (2), esponendosi anche a fare una “predizione” (da notare i paragoni e i concetti sottostanti): «Fra qualche tempo avvenire, non molto lontano se misurando per secoli, è quasi certo che le razze umane incivilite stermineranno e si sostituiranno in tutto il mondo alle razze selvagge… Allora la lacuna sarà ancora più larga, perché starà tra l’uomo in uno stato ancor più civile, speriamo, che non il caucasico, e qualche scimmia inferiore, come il babbuino, invece di quella che esiste ora fra un nero od un australiano ed il gorilla» (3).

Di fronte a parole così un evoluzionista intellettualmente onesto dovrebbe riflettere e avere il coraggio di arrossire.

Qui la genetica e la biologia non c’entrano per niente, ma nella famiglia Darwin c’è del resto chi ha scritto persino di peggio. L’esploratore britannico Francis Galton (1822-1911), cugino di Darwin, è stato il fondatore di quella folle dottrina sociale che egli stesso definì, nel 1883, «eugenics», in italiano «eugenetica», vale a dire l’insieme di idee e pratiche atte a migliorare la qualità genetica del genere umano attraverso matrimoni selettivi, segregazione dei disgenici, nonché sterilizzazione di barboni, poveri e malati per impedirne la riproduzione. Ed è proprio su questi presupposti che, 54 anni dopo, Hitler scriverà: «[…] la nazione dovrà impedire ai malati o ai difettosi di procreare» (4) e il gerarca nazista  Rudolf Hess (1894-1987) definire l’ideologia nazionalsocialista una «biologia applicata».

Che si tratti di pregiudizio bieco, e non di argomentazioni scientifiche, anche tenendo conto delle limitate cognizioni che Darwin aveva in materia di genetica, lo si può dedurre dalla conclusione de L’origine dell’uomo: «Non dimenticherò mai la meraviglia che provai nel vedere per la prima volta un gruppo di indigeni della Terra del Fuoco, su di una spiaggia selvaggia e scoscesa; mi venne subito alla mente che simili erano i nostri antenati. Quegli uomini erano nudi, imbrattati di pitture; i loro lunghi capelli erano arruffati, avevano la bava alla bocca per l’eccitamento e la loro espressione era selvaggia, spaventata e diffidente […] Chi ha visto un selvaggio nella sua terra natia, non sentirà molta vergogna ad ammettere che il sangue di qualche creatura più umile gli scorra nelle vene» (5).

Ora, nessuno è riuscito a spiegare a Darwin che quegli indigeni “selvaggi” erano uomini come lui, benché Cristoforo Colombo (1451-1506), più di 300 anni prima, lo avesse compreso da solo incontrando i cosiddetti “indiani d’America”.

Mi piace a questo punto immaginare una scena surreale: Darwin che, dopo aver girovagato per il mondo a bordo del brigantino Beagle maturando le convinzioni che lo porteranno a scrivere L’origine delle specie, approda su un’isola sconosciuta e, sulla spiaggia, incontra, venuti per salutarlo amichevolmente, Barack Obama, Wole Soyinka, Toni Morrison, Nelson Mandela, Kofi Annan, Ellen Johnson Sirleaf, Denis Mukwege e Abiy Ahmed, tutti Premi Nobel, tutte persone di colore, tutti nudi e con i capelli arruffati. Cosa avrebbe pensato Darwin allibito e impietrito davanti a questi esemplari? Forse di essere sbarcato sul pianeta delle scimmie.

di Ferdinando Catalano

(1) C. Darwin, L’ origine dell’uomo e la scelta in rapporto col sesso [1871], trad. it. Newton Compton, Roma 1994, p. 628.

(2) C. Darwin, op. cit., trad. it. Michele Lessona, Milano 2014, p. 39.

(3) C. Darwin, op. cit., trad. it. Michele Lessona, Milano 2014, p. 233.

(4) A. Hitler, Mein kampf (La mia battaglia), trad. it., La Lucciola, Varese 1991, p. 39.

(5) C. Darwin, op. cit., trad. it., Editori Riuniti, Roma 1976, pp. 242-243.

Ferdinando Catalano, responsabile scientifico del CIID, è stato professore di Ottica nell’Università degli Studi di Padova e nell’Università degli Studi del Molise, preside, direttore e professore di Matematica, Fisica (attuale occupazione), Ottica e Optometria in istituti tecnici e professionali.

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